Fatture per operazioni inesistenti, la prova al contribuente

Secondo la Cassazione, spetta al contribuente dimostrare la propria estraneità alla condotta evasiva.

Fatture per operazioni inesistenti, la prova al contribuente

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 2800 del 5 febbraio 2025, ha ribadito che, una volta provato dall’Amministrazione finanziaria l’utilizzo di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti, spetta al contribuente dimostrare la propria estraneità alla condotta evasiva. Il caso riguardava un accertamento IVA che contestava l’uso di fatture emesse da soggetti non reali. La società coinvolta ha perso in tutti i gradi di giudizio, poiché avrebbe potuto accorgersi, con l’ordinaria diligenza, dell’inesistenza del fornitore.

La Cassazione ha chiarito che le operazioni inesistenti prevedono sia l’effettivo acquisto dei beni sia la simulazione soggettiva della loro provenienza. L’onere della prova spetta inizialmente all’Amministrazione, che deve dimostrare che l’operazione è stata effettuata da un soggetto diverso da quello indicato in fattura, basandosi su elementi indiziari come la mancanza di struttura organizzativa del fornitore. Tuttavia, il contribuente è responsabile di verificare la veridicità dei propri fornitori e può essere ritenuto consapevole dell’evasione fiscale se, con normale diligenza, avrebbe dovuto accorgersene. La sentenza richiama precedenti giurisprudenziali, ribadendo che i giudici tributari devono valutare autonomamente gli elementi probatori, senza dipendere dalle sentenze penali.

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